Canto le crescite della stalla
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Io appartengo alla fecondità
Pablo Neruda, Ciò che nasce con me, 1964
La cantina du la Mariana è uno spazio espositivo che conserva l’architettura di una stalla: il soffitto a volta, la pavimentazione in beola, la mangiatoia. In questo luogo si possono trovare le testimonianze di cultura materiale che raccontano le attività che si svolgevano nella stalla o a questa collegate.
Gli animali erano un elemento fondamentale per l’economia di sussistenza. Fornivano l’energia muscolare necessaria per trainare i carri e lavorare i campi. Offrivano prodotti alimentari come latte e derivati, carne, fibre. Tra le testimonianze di cultura materiale presenti in questo spazio possiamo notare: la brocca del latte, la zangola o penagia utilizzata per la produzione di burro, le zoccole fatte a mano in legno e cuoio, la carriola in legno. Dell’animale non si buttava via nulla. Mentre maiali e galline venivano ricoverati nei sottoscala dei cortili la stalla offriva riparo ai bovini e agli ovini nella stagione fredda, da novembre a febbraio inoltrato. Era inoltre il luogo della socialità delle donne, a cui si demandava l’accudimento del bestiame al chiuso. Il calore prodotto dai corpi degli animali rendeva la stalla un luogo ideale per la lavorazione della lana. La lana di pecora, abilmente tosata con le cesoie, veniva lavata e poi cardata e filata con fuso o arcolaio. La parte non adatta alla filatura si utilizzava per riempire cuscini e materassi. Il prezioso filo, lavorato ai ferri o a telaio, si trasformava in capi di abbigliamento, coperte calde, tappeti. Gli animali, impiegati durante l’inverno per la conduzione di carri e in primavera per la lavorazione dei campi, in estate potevano godere del pascolo.
Pascolare era un’attività quotidiana e, di norma, non vi era un pastore incaricato: ogni famiglia provvedeva in proprio. Il pascolo aveva una doppia funzione: da un lato consentiva agli erbivori di cibarsi di foraggio fresco, dall’altro faceva sì che fossero proprio gli animali a conservare integri il paesaggio, le radure, le selve castanili e il Pian delle Noci, la meta più lontana di questo circuito. Il fieno era il nutrimento fondamentale per superare l’inverno in stalla. I tagli venivano fatti a mano con una falce detta ranza, in numero variabile in base alle condizioni ambientali stagionali, più o meno favorevoli.
La fienagione coinvolgeva tutti i componenti della famiglia. Il fieno, ammonticchiato con le forche e raccolto, veniva trasportato a spalla con le gerle oppure sui carri trainati dai buoi. Raggiunto l’abitato, veniva stivato in locali sopra alle stalle e poi distribuito come alimento nella stagione invernale, dividendolo in porzioni e accompagnandolo in caduta attraverso le botole. La lettiera della stalla veniva realizzata con lo strame: foglie secche e residui vegetali provenienti dalle selve castanili e dai boschi, raccolte e trasportate con le gerle. Questo asporto di materiale organico aveva come conseguenza ambientale la manutenzione della selva castanile e del sottobosco a prato. Selve castanili e radure – è bene ricordarlo – sono ecosistemi fondamentali per la biodiversità dell’ambiente montano. Infine, ma certo aspetto non ultimo, la stalla era uno dei luoghi di ritrovo per eccellenza della civiltà contadina e adempiva la stessa funzione del salotto per i ceti benestanti. Era uno dei rarissimi spazi dove le donne potevano dialogare con una certa libertà durante la giornata e, alla sera, capitava vi si riunisse l’intera famiglia (quando gli uomini non tardavano all’osteria). In un tepore che ricordava l’iconografia della Sacra Famiglia con bue e asinello, ci si scambiavano riflessioni sulla giornata che stava finendo e su ritmi di vita e di lavoro che sembravano eterni. E in una società dove i libri erano l’eccezione la cultura orale tramandata dagli anziani trovava la sua scuola ideale proprio nella stalla. Un sapere in forma di racconto, favola o canto che i più giovani avrebbero fatto proprio e riproposto, con cambiamenti quasi impercettibili da una generazione all’altra, ai loro figli. Come era stato per l’agricoltura della Grecia arcaica cantata dal poeta Esiodo così sarebbe rimasto fino alla Rivoluzione Industriale, se non vogliamo arrivare agli anni del “boom economico” dell’Italia fine anni ’50. Uno degli omaggi più belli a questo mondo – duro, affascinante, certo vittima di molte ingiustizie, ma forse proprio per questo così ricco di umanità – è il film di Ermanno Olmi L’albero degli zoccoli.
La cantina Mariana si trova qui