Un‟altra modalità per ottenere filo da cucire e tessere consisteva nell‟allevamento di bachi da seta. Bombyx mori, la bombice del gelso, è la farfalla falena conosciuta come baco da seta. È originaria dell‟asia centro-orientale. Allevato in Cina fin dal 2.600 a.C. è l‟unico lepidottero domestico33. Si alleva per trarne seta, una sostanza proteica costituita da filamenti di fibrina e sericina, che si forma in ghiandole interne al corpo della larva e viene estrusa tramite i seritteri, due dotti situati ai lati della bocca. La sottile bava, a contatto con l‟aria, si solidifica. Viene deposta dalla larva grazie ad un movimento ad otto del capo; il filo continuo opportunamente deposto forma il bozzolo di seta grezza.
“Una coltura che ha sempre avuto un posto preminente nel mondo contadino è quella del baco da seta. Impegnava solamente un mese e mezzo in primavera ma era un grosso lavoro per tutta la famiglia. Si cominciava a maggio, quando i gelsi mettevano le foglie che servivano da cibo per le larve di baco. Allora si andava a prendere la semente, che consisteva in una miriade di ovetti minuscoli dai quali nascevano larvette piccole come formiche. Venivano messi in una stanza, sulle galettere che erano tavoli o graticci sovrapposti. La semenza la si comprava nelle galettere ma la si poteva fare anche in casa conservando i bozzoli da un anno con l‟altro al fresco, che non si schiudessero prima dello spuntare delle foglie dei gelsi. Da noi galettere c‟erano a Cabiaglio e dai Porro ad Azzio. I bachi non dovevano prendere freddo e neppure umidità e a volte si doveva accendere il camino, ma che non facesse fumo altrimenti potevano morire. Col baco si doveva metterci parecchia attenzione perché poteva essere colpito da malattie come il calcino e il giallume che facevano strage e allora addio guadagno. Ogni giorno si dovevano raccogliere le foglie dai gelsi (una volta c‟erano lunghi filari di gelso nelle campagne) ed era compito dei bimbi. Tranciate poi diventavano cibo, ma non dovevano essere umide, altrimenti i bachi, che erano sofistici, non le mangiavano. Le larve avevano due occhietti neri come una capocchia di spillo e uguale la bocca. Mangiavano in continuazione facendo un sordo rumore di mandibole. In poco tempo si ingrossavano e bisognava aggiungere assiti per farceli stare. Avevano tre mute, alla fine diventavano grossi come il dito di una mano e quasi trasparenti. A quel punto erano pronti per „andare al bosco‟, che consisteva ad arrampicarsi su piccole fascine d‟erica o ginestra, poste di fianco ai graticci dove cominciavano a filarsi il bozzolo, la „galetta‟ in dialetto. In due o tre giorni si racchiudevano tutti e allora era il momento giusto per portarli in setificio. Si doveva fare la sbozzolatura, ovvero staccare i bozzoli dai rami, controllarli che non avessero qualche difetto e pulirli dalla lanuggine esterna. Bisognava fare in fretta perché altrimenti indurivano e non erano più adatti. Qualche fascinotta coi bozzoli veniva conservata come semenza per l‟anno successivo. Per fare ciò si doveva attendere qualche giorno che il bozzolo si schiudesse, ne uscivano farfallette che, accoppiandosi, depositavano miriade di robuste uova attaccate ad un foglio di carta. I bozzoli, raccolti e puliti, venivano portati a piedi, con la gerla in spalla, nei setifici di Cabiaglio, di Azzio, Comerio e anche alla Stheli di Germignaga. Venivano pagati bene e per secoli sono stati un bel sostentamento per i contadini”
Urin di temp indrè, Comune di Orino, cit., pp. 95, 96, 97.
“Le donne, in genere bambine, svolgevano il filo di seta tenendo il bozzolo sopra un catino con l‟acqua calda (…) molte sono le foto di corti dove le donne si riunivano a svolgere il filo di seta del bozzolo. La nonna di Maurizio Cellina andava a lavorare alla filanda di Castello Cabiaglio, a piedi naturalmente. La nonna di Luigi Mia, nonna Ciglia, andava a lavorare alla filanda di Brinzio, con sue compagne andava a piedi e rimaneva là per tutta la settimana lavorativa”
Orino piccolo borgo antico, «Menta&Rosmarino», cit., p. 100.