“Tra la mano e l’utensile ha inizio un’amicizia che non avrà fine.
L’uno comunica all’altro il suo calore vivo e continuamente lo plasma.
Quando è nuovo, l’utensile non è ‘fatto’;
bisogna che tra esso e le dita che lo impugnano si stabilisca un accordo formato di appropriazione progressiva,
di gesti lievi e coordinati, di abitudini reciproche e anche di una certa usura.
Allora lo strumento inerte diventa una cosa viva.”
Henri Focillon
L’artigianato, prima di essere una professione, era innanzitutto parte integrante del quotidiano. In ogni abitazione erano presenti gli strumenti basilari per l’autocostruzione e la manutenzione. C’erano poi botteghe di artigiani, artisti specializzati nella lavorazione manuale del legno, del cuoio, dei metalli.
Gli oggetti di cultura materiale raccontano di un passato fatto di competenze, tecniche, abilità manuali. Da questi oggetti si comprende che nel “saper fare” è racchiuso un patrimonio di conoscenze, che la manualità va considerata a tutti gli effetti parte della più erudita sfera intellettuale.
A. Candela e P. L. Arena, Cultura Materiale e Paesaggio Montano, Aracne Editore.
Non separo la mano né dal corpo né dalla mente.
Tra la mente e la mano, però, le relazioni non sono quelle, semplici, che intercorrono tra un padrone ubbidito e un docile servitore.
La mente fa la mano, la mano fa la mente.
Il gesto che non crea, il gesto senza domani provoca e definisce lo stato di coscienza.
Il gesto che crea esercita un’azione continua sulla vita interiore.
La mano sottrae l’atto del toccare alla sua passività ricettiva, lo organizza per l’esperienza e per l’azione.
Insegna all’uomo a dominare l’estensione, il peso, la densità, il numero.
Nel creare un universo inedito, lascia ovunque la propria impronta.
Si misura con la materia che sottopone a metamorfosi, con la forma che trasfigura.
Educatrice dell’uomo, lo moltiplica nello spazio e nel tempo”.
Henri Focillon