Seguendo l’evoluzione della castanicoltura del Novecento in Lombardia, si possono individuare tre fasi storiche.
“L’autunno del patriarca” – dal 1905 al 1950.
Con il mutare delle condizioni socioeconomiche, le pratiche agro-forestali sono diminuite ed è cominciata l’emigrazione dei montanari; il castagno è stato contemporaneamente colpito dal mal d’inchiostro. Laddove la castanicoltura si basava sull’autoconsumo e l’autosufficienza, ha continuato a godere di cure e attenzioni. Nelle guerre e nei periodi postbellici, il castagno ha fornito cibo legname e sottoprodotti derivanti dal particolare ecosistema come funghi, miele, frutti del sottobosco, foraggio, fogliame. Castagne fresche, secche, sfarinate, trasformate, erano di grande contributo nella dieta. Il legname fu di grande importanza nell’edilizia rurale, la falegnameria, l’artigianato.
“Il lungo inverno”, dal 1951 al 1980.
Durante gli anni ‟50-‟60 è iniziata una rilevante fase storica di ricostruzione post-bellica, di forte industrializzazione, d’intenso movimento di masse umane da Sud a Nord, dalla montagna alla città. Un diverso modello di vita ha comportato la variazione della dieta alimentare; di conseguenza, la montagna si è svuotata. Ma nella progressiva diminuzione della presenza umana sul territorio, il castagno ha rappresentato la salvezza per i montanari più tenaci.
“Il risveglio del gigante buono”, dal 1981 ad oggi.
Negli anni ’80 le città sono diventate sempre più caotiche, c’è stata una progressiva revisione del modello di vita con crescente attenzione ai valori della persona e dell’ambiente. Al contempo si è rinnovato l’interesse al castagno; dal 1981 il numero di convegni dedicati alla castanicoltura è notevolmente aumentato.
Nel 2019 è stato fondato il Consorzio dei Castanicoltori di Orino Cabiaglio Brinzio, una cooperativa che si dedica al castagno e al recupero delle selve castanili.